Intervista a Alessandra Prada – Docente del Corso di Giapponese di ETAss
Alessandra Prada si è laureata in Lingue e Letterature Orientali a Ca’ Foscari, a Venezia.
Dopo un primo periodo di studi e lavoro in Giappone, torna in Italia dove – dal 2006 – fa la traduttrice e insegna italiano per stranieri e giapponese presso l’Università e enti specializzati. Alessandra pratica il kendo e collabora con una figura di spicco nell’ambito della cultura giapponese, Tada Ryuzo (maestro 7 dan di kendo) – organizzatore del Budo Tourism – Feel samurai nella prefettura di Miyazaki.
D – Buongiorno Alessandra, pensando al giapponese, la lingua di cui sei insegnante, sembra impossibile impararlo online. Quale è la tua esperienza a proposito?
Di recente c’è stato un inevitabile passaggio dalla didattica in presenza, a una completamente on-line, e questo vale anche per le lingue orientali. La formazione digitale ha sia potenzialità che limiti, ma una cosa è certa: non si improvvisa. Richiede esperienza, studio, prove ed errori e, solo chi ha tecnica ed approccio metodologico, riesce a sfruttare i vantaggi dell’on-line.
Dal mio punto di vista, l’aspetto più difficile è quello di mantenere il contatto con gli studenti e non perdere così l’effetto classe con le sue inequivocabile caratteristiche, come l’energia e l’empatia che si creano. A differenza di una lezione in presenza, è importante andare piano, mantenere un tono squillante, variegare il contenuto e movimentare la lezione per coinvolgere ed interagire con e tra gli studenti.
Fondamentale è anche prepararsi la lezione, dare istruzioni chiare e precise e conoscere la piattaforma che bisognerà utilizzare.
Una lezione on-line, rispetto a una in presenza, richiede il doppio dell’organizzazione: bisogna saper gestire bene il tempo e avere più piani, perché non sempre le cose funzionano come vorremmo. Il rischio più grosso? Il “parlare da soli”, come se la lezione fosse una presentazione o una conferenza. Bisogna sempre tenere presente che on-line devo insegnare “con gli studenti”, non “agli studenti”.
D – Quale metodologia ha utilizzato per facilitare l’apprendimento e il coinvolgimento delle persone?
Ritengo che una lingua serva per comunicare e che l’obiettivo principale sia quello di sviluppare una competenza comunicativa.
Per questo motivo, adotto il metodo nozionale-funzionale, oggi il più diffuso per realizzare l’approccio comunicativo. Mi baso infatti sui bisogni di chi vuole apprendere la lingua: il focus non è tanto “com’è fatta una lingua”, ma “che cosa fa, a cosa serve”.
D – Il Giapponese ha la fama di essere una lingua difficile: quanto questa affermazione è vera? Ci racconti qualche aneddoto?
La lingua giapponese è “il biglietto da visita del suo popolo”. A differenza di una lingua con un unico alfabeto, nel giapponese il sistema di scrittura è integrato. Vengono infatti utilizzati tre modi di scrivere (hiragana, katakana e kanji) e tutti possono comparire in una singola frase o in un testo.
Per questo motivo, la lingua giapponese è certamente unica (e difficile da imparare!) sia per gli stranieri che per gli stessi giapponesi: non tutto può essere scritto in kanji e sebbene tutto possa essere scritto in kana, ciò non avviene. Avere tre modi di scrivere aggiunge sì difficoltà nell’apprendimento della lingua ma ne accresce la ricchezza, permettendo di esprimere significati molto sottili in modi sofisticati.
Forse, la sua reputazione di linguaggio difficile deriva dalle regole legate al contesto sociale. Il Giappone è conosciuto per i gesti di cortesia e l’etichetta, che si riflettono nella lingua. Le relazioni tra persone sono così importanti al punto di cambiare radicalmente il modo di parlare, sia grammaticalmente che per quanto riguarda il lessico. È proprio analizzando questo aspetto che comprendiamo come la lingua giapponese abbia importanza per il suo popolo, perché conserva e protegge l’essenza del loro carattere, la natura della società e la sua originalità.
Spesso mi chiedono qual è il modo migliore per comunicare con i giapponesi e la risposta credo sia solo una: imparare la loro lingua.
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